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Lamerica
di Francesco Achille

I miei primi compagni di infanzia sono stati Paperino e Topolino. A otto anni ero nel Klondike con zio Paperone a cercare oro. Qualche anno dopo andavo a caccia di indiani, popolo sanguinario, con James Stewart e John Wayne, e le sconfinate praterie del Far West erano casa mia. L'America ero io, ed il sogno di libertà e di immensità che essa mi ispirava, una realtà.

La guerra in Corea ed il maccartismo mi hanno colto ancora giovane, e "L'invasione degli ultracorpi" di Don Siegel è rimasto per me, per molti anni, solo un bel film di fantascienza.
Durante la crisi di Cuba ero a Washington e stavo alla destra di John Kennedy. Non capivo come la Russia (che allora si chiamava Unione Sovietica) poteva pensare di installare missili così vicini a casa nostra. Io avrei lanciato i missili su Cuba. Lui fu più prudente, e la guerra venne evitata. Poi arrivò il Vietnam, paese lontano, il napalm e le migliaia di morti innocenti, da una parte e dall'altra, e cominciarono a sorgermi spontanee le domande, che rimanevano nel mio cervello senza risposta come spie accese. Negli anni Settanta il mio cervello era come un albero di natale. Cile, Uruguay, Argentina, Brasile, Haiti, Honduras, Nicaragua, S. Salvador, Grenada, Cuba, Indonesia, per citare i paesi più noti, erano, e sono, tutti paesi che hanno subito, in un modo o nell'altro, ingerenze (per usare un eufemismo) americane. Dall'invasione ( o tentativo di invasione), all'aiuto economico, militare e logistico a movimenti, partiti, militari, bande di assassini e terroristi che venivano addestrati nei campi militari del Texas o del Nuovo Messico, al fine di capovolgere le istituzioni democratiche e religiose di quei paesi.
Sappiamo tutti quanti anni ci sono voluti, e a che prezzo, per rivedere la democrazia (laddove si può parlare di democrazia) in quei paesi.

Alla fine degli anni Settanta il mio amore per l'America aveva ormai ceduto il posto ad un rancore profondo e alla delusione immensa di un innamorato tradito.
Negli anni Ottanta si conferma la generale consapevolezza ( ma Mattei lo scoprì prima e meglio, e per questo venne tolto di mezzo) che il petrolio è di enorme importanza strategica per la sopravvivenza dei paesi industrializzati.
La politica americana si muove ormai ai miei occhi come un gigante impazzito.
Da una parte stringe alleanze con paesi dittatoriali e corrotti, ma produttori di petrolio o detentori degli oleodotti, e dall'altra fomenta guerre contro quei paesi che sono o ritiene essere contrari alla sua politica estera planetaria.
In questa ottica (oltre che per le pressioni interne), possiamo interpretare la copertura costantemente accordata ad Israele nella sua opera di genocidio nei confronti del popolo palestinese. Genocidio che non significa solo eliminazione fisica delle persone, ma anche espropriazione con la forza di case e territori. Le case, per intenderci, sono quelle dove, come da noi, abitano le famiglie palestinesi. Se a casa nostra si presenta qualcuno armato, chiamiamo la polizia. Se qualcuno vuole cacciarci di casa, chiamiamo la "neurodeliri". In Palestina questa è la regola per ogni famiglia palestinese. E non c'è nessuna polizia, né Stato Garante Nel Mondo Degli Ideali Di Libertà e Giustizia, a difenderli. A dispetto delle centinaia di risoluzioni dell'ONU.
Ricordo, fra l'altro, che ne è bastata una (strappata all'ultimo momento) per scatenare la "guerra umanitaria" contro la Jugoslavia.
In questa ottica possiamo interpretare la costante copertura concessa alla Turchia nella sua opera di genocidio nei confronti del popolo curdo (oleodotti e alleanza atlantica).
In questa ottica possiamo interpretare la copertura concessa alla Russia (che non è più l'impero del male) nella sua opera di mattanza condotta in Cecenia in modo ben peggiore di quella condotta a suo tempo dai serbi nel Kosovo.
Siamo forse andati a bombardare "umanitariamente" Ankara o Mosca? No? Forse i curdi o i ceceni sono meno meritevoli degli albanesi? O forse si voleva solo far fuori Milosevic e crepi la giustizia, il diritto, e qualche migliaio di serbi?
In questa ottica possiamo interpretare la Guerra del Golfo contro Saddam Hussein, già pagato dagli americani per invadere l'Iran, e poi bombardato per la tentata invasione del Kuwait. Ma tant'è, i kuwaitiani sono forse più belli degli iraniani?
Ora si tratterebbe di salvare il popolo iracheno da Saddam Hussein (che è sempre al suo posto), ma invece si continua a bombardare il suo popolo (fra i più laici e tolleranti ) ed a lasciare che i bambini iracheni (che sono esseri umani come i nostri figli) muoiano per mancanza di cibo e medicine.
Che logica ha tutto questo?

L'affare Bin Laden è scoppiato quando l'America era già in guerra da tempo con mezzo pianeta.
D'accordo, Echelon era troppo intento a origliare il mondo per conto delle multinazionali, per occuparsi della difesa del popolo americano. La CIA era troppo occupata ad interferire negli affari altrui, per occuparsi dei propri. Gli USA erano troppo occupati ad affossare gli accordi di Kyoto, per occuparsi del lento surriscaldamento (prodotto da loro al 50%) del pianeta, causa dell'ulteriore impoverimento delle popolazione del terzo mondo.
Ma tutti erano comunque consenzienti a che i capitali dei Talebani (che organizzavano attentati contro l'Unione Sovietica per conto degli americani ed ora vendono oppio al mondo) e di Bin Laden, girassero per i paradisi fiscali americani ed inglesi. La "Advisory and Reformation Committee", società di Bin Laden ha sede a Londra sin dal 1994 ed altre sue società hanno sedi negli Stati Uniti d'America, ove venivano anche addestrati i combattenti che venivano inviati nel mondo. Un elenco veritiero dei paesi collegati al terrorismo internazionale non può prescindere dal contenere gli Usa e la Gran Bretagna.
Il giorno dopo gli attentati dell'11 settembre le forze di polizia avevano già identificato (!) i responsabili, amici, parenti, e conoscenti, dove questi avevano vissuto, dove avevano lavorato, eccetera. Il fatto che questi personaggi avessero potuto prosperare nella quotidianità della vita americana, è forse il segno di una democrazia vera e quindi indifesa? Sbagliato, signori. Questo è il segno di una democrazia marcia e corrotta nelle sue istituzioni e nei suoi centri di potere, al punto di aver ormai rinunciato da tempo ad identificare il terrorista buono (quello che lavora per me) da quello cattivo (quello che lavora contro di me), l'organizzazione buona (La Cia, o l'Fbi, o la Nsa che lavora per me), da quella cattiva (quella che lavora contro di me o magari per conto di un'altra organizzazione che, fingendo di lavorare per me, lavora invece contro). Ma chi può avere più certezze in questo gioco di scatole cinesi? Ma non eravamo contro il terrorismo?
In tutto questo baillame rimangono i morti civili incolpevoli dell'Afganistan (che pena veder bombardare un paese fatto di macerie e povertà e 30 chilometri in tutto di ferrovia. Ma non bastava portare generi alimentari ed aiuti per avere in cambio una rivoluzione?) e quelli altrettanto incolpevoli di Manhattan e Washington.

Nel 1209, la crociata cristiana contro i cattari, popolo illuminato e tollerante della Francia del sud, era guidata dal monaco cistercense Amaury che, in procinto di espugnare la città di Béziers dove vivevano in perfetta armonia, cristiani, mussulmani, ebrei, catari, eccetera, rispondendo ad un luogotenente che gli chiedeva come distinguere i cristiani dagli altri disse: “uccideteli tutti che ci penserà il Padreterno a dividerli in cielo”.
Noi stiamo facendo di peggio.
Dall'unico ospedale operante di Emergency, veniamo a sapere che di morti e feriti ne arrivano tanti ogni giorno, ma nessuno è un militare. Basterebbe questo dato per far cessare immediatamente ogni atto di guerra in Afghanistan.

Il terrorismo è lucido e razionale cinismo politico, d'accordo, ma prospera in un brodo di coltura alimentato dalle nostre incoerenze ipocrite, quando non da noi stessi.
Il diritto internazionale e la giustizia sono agli occhi di mezzo mondo, ed anche ai miei, concetti senza senso che si usano solo quando fanno comodo. Smettiamola di usarli e parliamo allora di un mondo dove l'ONU non conta più niente (tant'è vero che gli Usa non pagano più la loro quota) e il più forte del momento impone la sua legge sul mondo intero.
Cessiamo di parlare e scrivere di ideali, democrazia, cristianità, civiltà (sic!), e stupidaggini del genere.
La parola d'ordine è: vince la forza, non la giustizia.
Ma, attenti, se pensate che i più forti siamo noi, vi state sbagliando.
I più forti sono quelli che non hanno nulla da perdere.

Francesco Achille
francesco.achille@arengario.net





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 14 ottobre 2001